Manoscritti a inchiostro nero. Due “Cartes postales” e un bifolio, scritte 4 pagine. Fori di raccoglitore. Dimensioni mm 90x140 e 110x175 mm.
Le due cartoline postali sono scritte da Rue de Carmes 5, indirizzo dell’Hotel d’Orléans, dove Ungaretti risiedeva durante il soggiorno parigino. La via, “appassito vicolo in discesa” sarà ricordata nella poesia “In memoria”, che Ungaretti scriverà dopo il suicidio (nel 1913) dell’amico d’infanzia Moammed Sceab, con cui condivideva la stanza in quell’hotel. “Jahier [Piero] mi dice con gioia che tu hai accettato. Hai fatto benissimo. Ho incontrato due italiani, professori di liceo, che hanno vinto il concorso di perfezionamento all’estero. Jeanroy [Alfred] mi dice che ce n’è un terzo […] Cogli italiani siamo amici e Jeanroy [è] un tipo. Due occhini vispi […] M’ha detto che collaboreremo come s’io fossi il professore e lui il discepolo, in un italiano strascicato. Gli ho parlato […] della lingua dei nostri paesi ch’era immutata dal 300, e vorrei offrirgli i tuoi libri […] Avrei bisogno di rimanere due anni a Parigi per far opera di specializzazione […] Maria Magdalena, disillusione, ma Hebbel [Friedrich] ha scritto Giuditta […] Ungaretti”. “Mio caro, ho ricevuto i libri. In settimana andrò da Piroddi [Salvatore], a farmi abbracciare e ad ascoltar raccontarmi paciocconamente tante storie importanti. La “Nouvelle Revue” dedica al “Mio Carso” un articolo […] Conosco quasi tutti i giovani che si preparano al diploma d’italiano, e che insegneranno nei licei e nelle università francesi l’italiano. D’Annunzio. E poi Pascoli, il quale non gode di considerazione che a causa della lingua, certo insuperabile malgrado una stanchezza […] L’opera della “Voce” si ammira senza più bisogno di suggerimenti. Io indico loro [ai giovani] alcune bellezze, tue proprie, nei tuoi canti, o artigiano, a questi giovani che saranno i critici del futuro […] e dovranno in ciò che ci riguarda guidare l’opinione francese […] Prima di te, in poesia, non c’era altro che Pascoli e d’A. Tuo Ungaretti”. “Caro Pea, questi francesi con i loro ah e i loro oh! Oh la terra verde! Oh il cielo blu! Ah il cane che abbaia! Ah il gatto che miagola! Eccoci con questi francesi che hanno in mano la letteratura perché hanno saputo esclamare: diamine io mi sento italiano! E’ pure in noi questa gran forza d’aver fatto tutto, è pure negli altri quella gran debolezza d’aver approfittato di tutto. La nostra colpa è di non aver fatto i predicatori a perdifiato, di non aver imposto a tutti il nostro valore, ma d’averlo regalato, e d’aver umilmente ascoltato ogni scempiaggine altrui. Una buona volta sentiamoci scorrere per le vene l’acceso nostro sangue. Mettiamoci in piedi una buona volta, noi pigri, noi generosi […]”.