“Padre delle tre arti nostre, architettura, scultura e pittura”
Antichissimo linguaggio espressivo, il disegno trova le sue origini nella preistoria, nei graffiti di animali o nei motivi rituali e decorativi incisi al tratto sulle pareti delle grotte: tracciare segni su una superficie, esprimere un concetto, un’idea, materializzare un’immagine fermandola su un supporto, qualsiasi ne sia la natura, è il senso proprio del disegnare.
Dal Medioevo in avanti, il segno che rivela la forma e il volume del corpo così come la massa che emergerà dalla pietra o prenderà vita nel metallo, e il tratto che figura la struttura degli edifici o le loro componenti decorative, costituirà lo strumento di pittori, scultori e architetti per fissare le prime idee di un’opera nascente.
La Libreria Antiquaria Gonnelli Casa d’Aste offre un servizio di valutazione gratuita, confidenziale e non vincolante, di disegni e opere su carta, e nelle proprie vendite propone una vasta selezione di fogli di bella qualità, con cui iniziare o completare al meglio la propria collezione: un disegno antico è attualmente alla portata di tutti, le basi d’asta partono da cifre assolutamente accessibili fino a stime più elevate per quei fogli con particolari requisiti quanto a storia e provenienza.
Richiedere la stima di un disegno antico o raro oppure di una collezione di disegni rappresenta il primo passo per la sua immissione sul mercato e quindi per l’eventuale vendita all'asta; la valutazione del disegno verrà affidata a un consulente esperto sia del settore che dell’andamento del mercato, provvisto della cultura richiesta per effettuare un’analisi approfondita e in grado di individuare tutti quei fattori che possono incidere sia negativamente che positivamente sul valore del disegno.
Nella valutazione di un disegni antico alcuni criteri sono soggettivi, variabili in base alla sensibilità dell’esperto, nel determinare il valore di un disegno antico sono ancor più da considerare con attenzione criteri di valutazione puramente oggettivi e concreti: stato di conservazione (le opere su carta sono sottoposte a vari danni quali un’esposizione alla luce e altri fattori atmosferici che nel tempo può produrre sbiadimento del segno, o gli attacchi di piccoli insetti quali il pesciolino d’argento) rarità, periodo di realizzazione, qualità artistica (quando si guarda un disegno la raccomandazione è sempre quella di privilegiarne la qualità, la scioltezza e la sicurezza del tratto, a prescindendo dal tema).
Esercizio necessario per la preparazione e la formazione di un artista, il disegno è innanzitutto un’opera d’arte autonoma e originale. Dal Quattrocento in poi, il disegno - grazie alla diffusione della carta - diventa una forma di espressione molto usata, come formula di presentazione da parte dell’artista di un progetto da sviluppare poi in un’opera compiuta o per mostrare alla committenza la propria abilità e le caratteristiche peculiari del proprio stile. È il Rinascimento che vede una vera e propria esplosione del disegno creativo, realizzato con molteplici tecniche come punta d’argento, matita di grafite, matita nera o rossa, penna e inchiostro o bistro, acquerello, pastello, tempera. Nella maggior parte dei casi i disegni antichi non sono firmati, i riferimenti a questo o a quell’autore che compaiono sul montaggio o al verso del foglio spesso sono solo notazioni con ipotesi attributive o note di possesso apposte dai vecchi proprietari. La connessione con la versione dipinta scioglie eventuali dubbi sulla corretta attribuzione di un disegno antico.
Schizzi, disegni preparatori, bozzetti
Il disegno riveste un ruolo determinante, nell'evoluzione creativa di un artista: scene in divenire che lasciano spazio a interpretazioni molteplici della composizione, studi per ritratti dove il segno indaga i tratti fisionomici e i volti, studi anatomici funzionali alla resa realistica, il ruolo delle luci e delle ombre, lo studio di dettagli ed elementi che poi verranno trasposti sulla tela e ai quali il colore darà vita. Così il disegno si configura come ottimo strumento progettuale, attraverso il quale può essere prefigurata l’opera finale prima della sua realizzazione. Dallo schizzo veloce, quasi sempre a penna e inchiostro, gettato seguendo l’impulso impartito dall’immaginazione, al vero e proprio studio preparatorio che prefigura l’intero assetto compositivo o lo analizza nelle sue componenti e nei suoi particolari più minuti, con prove sulla proporzione o sull’incidenza della luce.
Spesso la redazione finale veniva quadrettata per consentire all’artista di trasferire più facilmente la composizione sulla tela o sulla parete. Il disegno si rivela una volta di più come strumento progettuale non solo per la pittura, ma anche per scultura e architettura, illustrazioni a corredo di testi scientifici, opere militari e molto altro. Nell’arco della storia delle arti molti sono gli strumenti, i materiali impiegati e le tecniche per disegnare. Con lo sviluppo e la scoperta di nuove tecnologie il disegno si è evoluto e arricchito, assumendo sempre più il ruolo di opera d’arte in sé compiuta assimilabile alla pittura. Da un ruolo funzionale, quale preliminare all’opera finita, e a seconda delle proprie caratteristiche definibile come schizzo, abbozzo, studio, il disegno assume, sempre più ad iniziare dal Rinascimento, dignità di opera autonoma con rappresentazioni tratte dal vero, da reperti di arte antica, esercizi all’interno delle accademie, tavole di studio ad uso della scienza.
La punta metallica è una tecnica di disegno antico che si avvale di uno strumento, detto anche stilo, formato da una bacchetta che può essere realizzata in vari materiali, ognuno dei quali traccia un segno diverso, continuo in quanto lo strumento non necessita di essere intinto nell’inchiostro, e più o meno marcato, in base al metallo utilizzato: il piombo – che lascia sul foglio tratti di grigio scuro facilmente rimovibili utilizzando una gomma pane, ma che a causa della sua tenerezza si consuma con rapidità -, lo stagno – che, in aggiunta al piombo, rende la punta molto più resistente a discapito di un segno meno marcato che lascia sul foglio preparato un disegno sottile, utilizzabile esclusivamente per i primi bozzetti – e infine, l’argento. La più usata nel Cinquecento fu la punta d’argento, che produceva un tratto elegante ma che richiedeva allo stesso tempo mano sicura dato che il disegno prodotto o eventuali errori non potevano essere poi cancellati. L’argento fu, soprattutto nel XV secolo e per i primi anni del XVI, la tecnica con la quale venivano eseguiti i disegni definitivi, in virtù del tratto rilasciato, grigio chiaro, ben visibile ed elegante. Altri metalli, come l’oro, sono stati sperimentati a questo scopo: la traccia che lasciavano sulla superficie era però oggetto con il passare del tempo di ossidazione e conseguente alterazione del colore.
Lo stilo è una delle tecniche di disegno più antiche e preziose, ma solo a partire dal XV secolo si hanno notizie sulla sua funzione e la sua applicazione nel disegno e nella miniatura. Lo stilo fu largamente usato per buona parte del XV secolo e considerato lo strumento più adeguato per l’apprendimento del disegno. Tecnica complessa e laboriosa perché tutti i metalli usati (eccetto il piombo) necessitavano di particolari procedure atte a rendere i supporti idonei a riceverli: gli artisti dovevano trattare le tavolette lignee, la pergamena e la carta con una preparazione composta da uno o più pigmenti, leganti e cariche inerti. La preparazione veniva stesa a pennello in più fasi poi si levigava leggermente la superficie, per procedere infine con il disegno a stilo che talvolta veniva completato con rialzi ad acquarello, inchiostri e biacca. Non era possibile apportare correzioni in quanto il segno del metallo inciso sulla preparazione non poteva essere cancellato.
Soprattutto l’argento, per il tono e la purezza del segno, fu il metallo preferito da molti maestri tardo gotici e dai cosiddetti linearisti rinascimentali toscani: in pieno Quattrocento saranno soprattutto i disegnatori umbri e toscani a valorizzare le punte metalliche, dando particolare risalto alle preparazioni. Nonostante vengano citati numerosi metalli usati nel disegno antico, i più apprezzati restano comunque il piombo e l’argento che ebbero nel tempo uno sviluppo e un’applicazione diversi legati alla struttura e alle potenzialità estetiche di ognuno. Il piombo, metallo morbido e dal colore grigio, non consentiva punte molto sottili lasciava dunque una traccia piuttosto grossa, simile alla pietra nera; era di facile uso in quanto segnava qualunque supporto anche non preparato e poteva essere cancellato senza lasciare scalfitture profonde. Sono ancora oggi rari i disegni riconosciuti eseguiti interamente a piombo spesso confuso con la matita nera e la grafite: alcuni studi di Albrecht Dürer sono realizzati con una punta di piombo talmente morbida e pastosa da sembrare matita nera. Più conosciuto e apprezzato fu l’argento dal bel segno grigio chiaro, metallo di media durezza che consentiva la forgiatura di stili sottili e appuntiti adatti per disegnare solo su superfici preparate, ma senza poter cancellare né correggere pena la ripetizione dell’intero disegno. Nonostante la difficoltà il tono marrone chiaro che assumevano i segni fu apprezzatissimo e lo stilo d’argento lo si riscontra in ogni genere di disegno: studi preparatori, esercitazioni da modello, ritratti, ornati, paesaggi, fogli di lavoro, sovente da solo, altre volte accostato a biacca, inchiostri o matita nera.
Bibliografia:
Letizia Montalbano, Il disegno a punta metallica. Una tecnica ormai dimenticata, OPD Restauro, N. 8 (1996), pp. 241-254.
Le fonti storiche trattano questo mezzo grafico in maniera piuttosto uniforme, si parla di una pietra naturale (scisto argilloso carbonifero a grana compatta) tagliata nelle dimensioni opportune e appuntita che lascia un segno scuro con tonalità digradanti dal nero al grigio. Da questa argilla nera si ricavavano delle piccole mine da temperare. Materiale versatile e duttile, la pietra d’Italia permetteva di ottenere, affilando la punta, disegni con particolari definiti e precisi, lasciando la punta appiattita si ottenevano invece tratti morbidi e gradazioni tonali delicate accentuate talvolta con l’uso della punta delle dita per sfumare la polvere. Cennino Cennini la descrive come uno strumento con cui si possono ottenere effetti simili a quelli del carboncino. Filippo Baldinucci nel suo Dizionario toscano delle Arti (1681) è il primo a usare il termine “matita nera” e la descrive come “una sorta di pietra nera, che viene a noi in pezzi assai grandicelli, e si riduce in punte, tagliandola con la punta di un coltello”.
La versatilità di questo mezzo per molteplici esigenze disegnative (realizzazione di cartoni e grandi formati) ne decretò la diffusione a scapito della punta metallica e della penna. Se ne conosce l’utilizzo dal XV secolo, ne fecero uso ad esempio artisti come Pisanello (Studi di uomini appesi, ca. 1430, British Museum, inv. 1899.345) e Mantegna, ma furono gli artisti italiani del secolo successivo a decretarne la diffusione, da qui il suo altro nome “pietra d’Italia”. Verso la fine del Quattrocento la matita nera verrà usata anche per fini non meramente preliminari all’opera compiuta ma anche per studi individuali di figura, di animali, ritratti, fino agli studi caricaturali di Leonardo. Dalla metà del XVI secolo, la pietra d'Italia viene sempre di più associata alla matita rossa anche con funzione maggiormente coloristica non relegata alla definizione dei soli contorni.
La grafite è un minerale nativo e rappresenta uno degli stati allotropici del carbonio, chiamato anche carburo di ferro, in sostanza è una varietà di carbonio quasi puro; nel secolo XVI veniva spesso confusa con il piombo, e come la punta di piombo lascia una traccia grigia che si può cancellare. Diversamente dal segno lasciato dal piombo, la traccia della grafite si può ricoprire con un tratto a penna perché non respinge l’acqua il che consente di usarla anche per disegni acquerellati. Il colore della grafite varia dal nero vellutato al grigio acciaio. La nascita della moderna matita è riconducibile alla occasionale scoperta di questo minerale fino ad allora sconosciuto, avvenuta nel 1564 a Borrowdale in Inghilterra, quando una tempesta sradicò un gigantesco albero, lasciando un cratere dal quale affiorò una vena di minerale nero, a cui fu attribuito il nome di black lead, cioè «piombo nero», ancora oggi usato per indicare le mine di grafite in inglese. Già nel 1565 il naturalista svizzero Conrad Gesner descrive questo minerale di colore grigio scuro, tenero e untuoso al tatto, con sfaldatura facile, come adatto per il disegno.
Barrette di black lead cominciarono ad essere commercializzate a Londra nel 1610 con il nome di “plumbago”. Quando alla fine del ‘700 fu appurato che si trattava di un minerale del carbonio, proprio per il suo uso grafico, venne battezzato col nome di grafite. Nel 1662 Friedrich Staedtler a Norimberga mise in commercio barrette di black lead incollate tra due assticciole di legno e dopo circa cento anni, nel 1761 Kaspar Faber avviò la produzione di matite di forma rettangolare o ovale ottenute da un bastoncino di grafite inglese posto all’interno di due barrette di legno scanalate e incollate. Durante la rivoluzione francese, il costo della rara grafite inglese impose di trovare una soluzione più economica così nel 1796 Nicolas Auguste Conté iniziò la produzione in serie di mine ottenute con la cottura di polvere di grafite mescolata ad argilla consentendo a questo mezzo una diffusione su larga scala.
La matita rossa, detta anche sanguigna, è un medium grafico sviluppatosi parallelamente alla matita nera, usato talvolta unitamente a quest’ultima e alla biacca per eseguire disegni. La matita rossa, quando naturale, è costituita da una mistura di ematite terrosa (ossido di ferro rosso, fino e spesso impuro) che conferisce la colorazione, e diverse argille che consentono la coesione del pigmento. La materia viene cavata dalla terra, ridotta in bastoncini e opportunamente appuntita, proprio in quanto naturale la durezza e la gradazione di colore possono essere variabili. Altro tipo di matita rossa è quella fabbricata o artificiale: il minerale viene pestato e polverizzato poi mescolato con un legante fino ad ottenere una pasta che viene rollata in bastoncini di facile utilizzo. Ultima variante di matita rossa è quella sintetica che viene fatta risalire all’Ottocento prodotta per arrostimento del solfato di ferro che viene addizionato poi con argilla o leganti organici, poi al solito la miscela viene manipolata e pressata fino ad ottenere i bastoncini per il disegno. Il segno rilasciato è rosso color del sangue da cui il termine “sanguigna”. Pare che l’uso della matita rossa sia da far risalire agli ultimi anni del XV secolo e uno dei suoi primi adepti e promotori fu Leonardo che ne fece uso nei disegni del suo primo periodo milanese (1482-1499) nello studio per il monumento equestre sforzesco e nei preliminari per il cenacolo di Santa Maria delle Grazie.
Il carboncino è forse il più antico materiale per disegnare: già i pittori paleolitici facevano prevalentemente uso del nero del carbone oppure del nero prodotto per calcinazione di ossa, corna e avorio; solo più tardi si ricorre anche al nero di origine minerale, come l’ossido di manganese, che troviamo impiegato ad esempio nella grotta di Lascaux. I rametti di salice venivano essiccati e poi tagliati, posti successivamente in una pentola chiusa ermeticamente da un coperchio sigillato con della creta dove venivano cotti per tutta la notte a bassa temperatura. Una volta cotti, venivano fatti raffreddare ed infine assottigliati a una delle estremità. Se si desiderava una variante del carboncino più grassa, ai fini di un segno nero e vellutato, i bastoncini di carbone venivano tenuti a bagno nell’olio di lino per un periodo più o meno lungo. La sua friabilità conferisce al carboncino un segno particolarmente morbido e pittorico, resta comunque un mezzo da usare con attenzione in quanto può macchiare il foglio oppure polverizzarsi causando la scomparsa di alcuni tratti disegnati.
Tecnica utilizzata per ottenere effetti di sfumato, usata spesso per rendere le ombreggiature nei disegni a matita, a carboncino e a pastello; si avvale di un rotolo cilindrico di pelle, panno, o più comunemente carta, arrotolata più strettamente possibile, intriso di polvere di matita nera. Lo sfumino è uno strumento antico, utilizzato già dal Cinquecento. Tra i grandi artisti ad utilizzarlo troviamo Leonardo Da Vinci, che fu tra i primi ad adoperare questa tecnica dalla quale lo strumento prende il nome.
Dall’antico Egitto fino al Medioevo la penna per scrivere o disegnare consisteva in una cannuccia, dal VI secolo divenne d’uso comune una penna di volatile: la penna d’oca (e poi anche di tacchino, di corvo e di cigno) intrisa in inchiostro lasciava un segno nitido, facilmente modulabile, che assicurò il successo di questo mezzo fino all’Ottocento, epoca in cui venne per lo più sostituito dall’uso della matita. La penna veniva usata con varie tipologie di inchiostro:
1) inchiostro di china, nerofumo, in sospensione di olio, gomma e agglutinanti, di colore nero brillante che non si altera con l’esposizione alla luce;
2) inchiostro ferrogallico ottenuto con galle di quercia, di colore marrone, messe a macerare in acqua, con aggiunta di gomma arabica e solfato di ferro (detto anche vetriolo). La presenza di acido tannico, di ferro e di vetriolo ha effetti corrosivi sulla superficie cartacea;
3) inchiostri colorati, in gamme dal blu di indaco, al verde, al rosso, usati usualmente su carte preparate;
4) bistro, ovvero fuliggine di legno di faggio in sospensione acquosa e in varie concentrazioni a seconda della tonalità desiderata;
5) seppia, ricavato dalla sostanza a base di melanina e muco contenuta nella ghiandola della seppia, diluita in acqua a varie concentrazioni e addizionata di gomma arabica. Il bistro e il seppia vengono solitamente usati nel disegno per le campiture ad acquerello, per le ombreggiature, piuttosto che per la definizione dei contorni. Con inchiostri puri o diluiti con acqua (acquerelli) viene usato il pennello, da solo o per aggiungere ombreggiature o lumeggiature alle linee tracciate con lo stilo, con la penna o le matite.
Bibliografia:
Elena Parma Armani, Il disegno su pergamena e su carta, in Le tecniche artistiche, a cura di Corrado Maltese, Milano 2000
Tecnica consistente nell’applicazione a pennello di pigmenti finemente macinati e mescolati con un legante addizionato ad acqua, solitamente gomma arabica, o ad altre eventuali sostanze (glicerina, miele, zucchero). La stesura trova il miglior supporto nella carta, ma il colore può essere applicato anche su avorio, pergamena, seta, superfici preparate a gesso misto a colla; tavolette di legno trattate con una mano di bianco d’uovo, non escluso superfici grasse (pittura a olio) grazie ad elementi ausiliari quali fiele di bue e aglio. L’acquerello era ottenuto anche stendendo a pennello l’inchiostro ferrogallico o il seppia fortemente diluiti con acqua. Il pigmento è normalmente trasparente ma può essere opacizzato mescolandovi gesso o biacca (in questa variante è conosciuto come gouache) oppure la caseina, una proteina fosforilata del latte. La trasparenza dell’acquerello conferisce freschezza e luminosità alla pittura, morbidezza ai tratti, e consente risalti chiaroscurali e infinite sfumature di colore. L’uso di vernici a base d’acqua trova impiego presso gli Egizi che con questa tecnica decoravano le pareti dei templi e delle tombe, e ci hanno lasciato alcune delle prime opere su carta di papiro.
Le prime scuole di acquerello nel senso più appropriato sono però sorte in Oriente: maestri cinesi e giapponesi eseguivano paesaggi ed esercizi di calligrafia su seta e carta lavorata artigianalmente, in India e in Persia si raffiguravano episodi religiosi con la tecnica del gouache opaco. Durante il Medioevo in Europa i monaci utilizzavano la tempera per illustrare codici miniati che vennero a rappresentare una vera e propria forma d’arte. Dal 1500 l’acquerello venne usato per studi sulla natura e sul paesaggio, si ricorderanno gli studi di giovani lepri eseguiti da Albrecht Dürer nei primi anni del Cinquecento (Vienna, Albertina) e gli studi di mucche, upupe e cicogne del Pisanello (Parigi, Louvre). L’evoluzione della tecnica dell'acqurello procede di pari passo con la maggior diffusione e disponibilità della carta dal XIV secolo in avanti. Nei secoli successivi molti artisti quali Peter Paul Rubens (1577-1640) o Jean Honoré Fragonard (1732-1806) hanno utilizzato l'acquarello per fissare le prime idee di composizioni da sviluppare e come mezzo disegnativo ed espressivo privilegiato. Alla fine del XVIII secolo sorge in Gran Bretagna la prima Società di acquerellisti che prese avvio dalla tradizione di disegni topografici ad acquerello, mentre nel 1804 viene fondata la Royal Watercolour Society.
Tecnica di disegno che conobbe grande fortuna, il pastello viene eseguito solitamente su carta colorata, mediante l’uso di bastoncini generalmente cilindrici fabbricati con pigmenti di colore in polvere allo stato puro, impastati con un legante leggero (gomma arabica, decozioni di orzo o di lino, sapone di Marsiglia, colle animali e colla arabica) e lasciati asciugare. In base alla quantità di legante si regola la consistenza del pastello, i più teneri vengono impiegati qualora si desideri una maggiore fusione tra colori diversi. Le gradazioni di uno stesso colore si ottengono aggiungendo al pigmento di base argilla bianca o nerofumo. Le varianti a cera o ad olio del pastello risalgono a tempi recenti. Il supporto ideale per la tecnica del pastello è la carta o il cartone a superficie ruvida o porosa, talvolta ottenuta stendendo una preparazione con collanti ricchi di argilla, polvere di silice o pietra pomice.
La tecnica del pastello richiede perizia e sensibilità basandosi per lo più sull’uso dei polpastrelli delle dita che consentono all’artista di ottenere particolari sfumature e passaggi di tono. A partire dal Cinquecento, con un momento di vertice nel Settecento, questa tecnica venne particolarmente usata per l’esecuzione di ritratti: grazie alla loro morbidezza e friabilità, i pastelli erano il mezzo più idoneo per la resa degli effetti di trasparenza e sericità della pelle. La prima documentazione sull’uso del pastello in modo continuativo risale al Rinascimento, quando era pratica comune fra gli artisti lumeggiare i disegni, oltre che con la biacca, anche con il gesso. Leonardo da Vinci, in una nota del Codice Atlantico, scrisse di aver appreso la tecnica del pastello dal pittore francese Jean Perréal durante la sua permanenza a Milano nel 1499. Comunque per tutto il Cinquecento si riscontra l’uso del pastello in pittori di origine prevalentemente nordica come Hans Holbein o Hendrick Goltzius. Il pittore fiammingo Jean Clouet eseguì ritratti a pastello su carta alla stregua di una vera e propria opera d’arte finita dando origine a un genere a sé stante, richiestissimo e apprezzato per lungo tempo. In Italia soltanto tra fine Cinque e primi del Seicento comparvero con una certa frequenza disegni in cui l’uso del pastello divenne predominante per evidenziare e trattare il modellato delle figure e l’intensità dei volti, basterà ricordare gli strepitosi studi di teste su carta azzurra di Federico Barocci. Il Settecento costituisce il periodo di massima diffusione e sperimentazione tecnica del pastello con artisti quali Rosalba Carriera, in Italia la più illustre esponente del ritratto a pastello, o i francesi Jean-Étienne Liotard autore del Traité des principes et des règles de la peinture (1781), contenente interi capitoli dedicati al pastello, e Jean-Baptiste-Siméon Chardin che accanto alla nota produzione di nature morte a olio ci ha lasciato ritratti e autoritratti a pastello di grande immediatezza e libertà.
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