Manoscritti a inchiostro bruno. 2 bifoli, scritte 8 pagine. Conservate le buste affrancate viaggiate. Dimensioni 190x245 mm.
Le lettere svelano il Ponchielli più intimo, innamoratissimo della futura moglie ma che già, con accenni cupi, presagiva la malattia che gli sarebbe stata fatale. In quel periodo era intento, come un martire alla composizione de I Lituani. Il compositore usa poi parole durissime nei confronti del Teatro degli Italiani di Parigi, dove la “sua” Teresina subiva imbrogli e raggiri. Lettera del 14 dicembre: “Mio Angelo, gioia mia, sono qui dagli zii, e rispondo immediatamente alla tua arcicarissima lettera che ricevetti con quel trasporto e immenso piacere, come puoi immaginare! Ma però io devo sgridarti! Io non voglio che tu t’abbandoni così alla melanconia. No! Tu devi cantare, perciò mio angelo, il morale innanzi tutto! […] Io t’amo! Lo sai! T’amo e tu devi essere mia, senza di te io sono un infelice! […] Io lavoro e ho finito il Prologo [de I Lituani] del quale non sono malcontento e così pure Giulio Ricordi. T’assicura che per l’opera non m’inquieterò […]” La lettera prosegue con espressioni dialettali “Mi sont el vecc e semper sarò il to vecc fino a tanto che Cristo mi lascia in vita che sarò vecc davvero, con tosse, catarro, asma e altri simili insetti. Io allora starò al fuoco vicino a te, … naturalmente avrò rinunciato all’arte, e dirò che la musica ha fatto il suo tempo, rimpiangendo interrotto dall’affanno polmonare, i tempi passati”. Ponchielli morirà di broncopolmonite nel 1886, poco più che cinquantenne. Lettera del 22 dicembre: “Mio angelo / non rattristarti, se tardo qualche giorno a scriverti, ne è colpa l’opera, intorno alla quale lavoro come un martire, sto ora alla metà dell’atto 1° e spero in pochi giorni di terminare anche questo. Dalla tua ultima sento gl’imbrogli e i raggiri che ti minacciano […] già il teatro è un covo di birbanti l’uno peggiore dell’altro […] io non potrei avere il coraggio civile di affrontare quest’imbroglioni, per i quali bisogna esser nati con quella felice disposizione di menar via pugni, e se occorre una qualche pistolettata. Bisogna aver nel sangue un’attitudine particolare, io confesso che non l’ho […] non credevo che al Teatro Italiano di Parigi vi fossero birbanti simili. Oh, il teatro! Credo che Miraglia [Corrado, tenore e impresario] ti abbia scritto in proposito”. Seguono parole d’amore e accenni simpatici: “Mi domandi chi mi fa il nodo alla cravattà Io stesso! Il mio solito gruppettino alla sans façon e addio! […]” In fondo alla lettera c’è una nota affettuosa scritta e firmata dallo zio Corrado:” […] Non dar retta a quello che ti dice Ponchielli […]”.